Cari lettori,
L’argomento è impegnativo, ma l’ennesimo articolo uscito proprio in questi giorni ha finalmente vinto la mia ritrosia a passare dall’esperimento pratico (che trovate, infatti, molto più di frequente nei miei post) alla riflessione teorica.
Pietro Minto è un giornalista e scrittore italiano, nato a Mirano nel 1987. Ha studiato a Padova e Roma, e attualmente risiede a Milano. Negli ultimi dieci anni, si è concentrato principalmente su tematiche legate alla tecnologia e alla cultura digitale, collaborando con diverse testate tra cui Il Foglio, Il Post e Linkiesta.
L’articolo di Pietro Minto “Il difficile rapporto tra scuola e ChatGPT” , pubblicato su Lucy il 14 febbraio 2025, analizza l’impatto dell’intelligenza artificiale generativa, come ChatGPT, nel contesto educativo italiano. Secondo una ricerca di NoPlagio.it, il 65% degli studenti italiani tra i 16 e i 18 anni utilizza ChatGPT o servizi simili per studiare e svolgere i compiti. Questo dato evidenzia la crescente diffusione di tali strumenti nelle scuole e università, sollevando preoccupazioni tra docenti e istituzioni riguardo all’integrità accademica e all’efficacia dell’apprendimento.
Già sui primi paragrafi dell’articolo mi prendo una pausa per pensare alle reazioni dei miei ragazzi quando chiedo esplicitamente di svolgere un’attività con ChatGPT. C’è chi sogghigna, chi dice di non essere capace (ma lo è o lo fa?), chi mi guarda come se temesse per la mia salute mentale…
Insomma, il tabù non è solo prerogativa degli insegnanti, nella mia esperienza. Ma continuiamo con la sintesi dell’articolo, che ricorda la scelta di alcune istituzioni che hanno inizialmente cercato di limitare l’accesso a questi strumenti. Ad esempio, nel 2023, i distretti scolastici di New York e Los Angeles hanno bloccato l’accesso a ChatGPT, salvo poi revocare la decisione e riconoscere il potenziale educativo dell’IA generativa. In Italia, il Ministero dell’Istruzione ha avviato una fase di prova biennale in quindici scuole per integrare l’IA nei programmi didattici, con l’obiettivo di valutare l’impatto sull’apprendimento degli studenti. Di questo progetto abbiamo già parlato qui.
L’articolo sottolinea come la pandemia abbia accelerato la digitalizzazione della scuola italiana, con l’adozione di piattaforme come Google Classroom e Microsoft Teams.
Da persona vive la scuola ogni giorno, posso dire che per chi non la frequenta dagli anni ’90, l’ambiente scolastico di oggi appare radicalmente trasformato. Non è stata solo la pandemia a segnare il cambiamento: negli ultimi decenni, le possibilità offerte dalla tecnologia nella didattica si sono evolute in modo profondo, ridefinendo strumenti e metodi di insegnamento, e sono a disposizione di chi vuole usarle in quasi tutte le scuole, in misura più o meno consistente.
Tuttavia, l’integrazione di strumenti avanzati come ChatGPT presenta sfide uniche. L’articolo in questione continua citando Alessandro Cocilova, docente di informatica e matematica a Francoforte, il quale osserva che mentre le risorse educative sono diventate più accessibili digitalmente, l’uso di ChatGPT richiede un ripensamento delle metodologie didattiche per garantire un apprendimento autentico.
Alcuni insegnanti hanno iniziato a incorporare l’IA nelle loro lezioni. Pietro Stori, professore di Filosofia e Storia a Milano, utilizza ChatGPT per creare verifiche e stimolare discussioni in classe, pur riconoscendo le preoccupazioni dei colleghi riguardo all’uso improprio dello strumento. Gianluca Nativo, docente di Italiano, Storia e Geografia, sfrutta l’IA per semplificare testi complessi, rendendoli più adatti agli studenti più giovani.
Sono alcuni tra i possibili utilizzi che abbiamo delineato e tentato di sperimentare anche nei post precedenti e su cui torneremo anche in quelli successivi.
Una delle principali preoccupazioni, ci ricorda Minto, riguarda l’uso di ChatGPT per svolgere compiti a casa, poiché potrebbe ridurre l’impegno degli studenti e ostacolare lo sviluppo del pensiero critico. Per contrastare questo rischio, alcuni docenti richiedono che gli studenti documentino il processo di scrittura, utilizzando strumenti come Google Docs per monitorare le modifiche e garantire l’autenticità del lavoro.
Anche su questo, al momento, i miei esperimenti personali mi dicono che è molto difficile per i ragazzi svolgere un lavoro di documentazione del prompting adeguato: riflettere su ciò che si chiede e su come chiederlo meglio per ottenere risposte sempre più valide, infatti, è un compito difficile da spiegare e di livello molto alto per chi lo deve eseguire. Fa uscire tutti – docenti, studenti e famiglie – dalla zona di comfort offerta dai binari tradizionali. La ferrea sequenza lettura-studio-ripetizione, infatti, proprio quella che rende il compito così prevedibile da essere scontato ed eseguibile in pochi secondi per l’IA, è la gabbia dorata di chi aspira ad un sicuro traguardo in termini di titolo di studio. Rassicurante per il docente, che fa fare agli studenti esattamente ciò che ripeteranno all’esame, strutturato come la stazione di arrivo di quei binari. Confortevole per lo studente, che, se è di buona volontà si allena su quello senza sorprese, mentre se è un furbetto sa già come copiare. Esplicito e inequivocabile per le famiglie, che forse avrebbero difficoltà a seguire i figli in un percorso troppo diverso come modalità da quello in cui sono cresciuti loro. Secondo me queste ragioni psicologiche e culturali ostacolano veramente un uso proficuo di ChatGPT nella scuola, più ancora di qualunque, pur non trascurabile, preoccupazione cognitiva o etica, sulla privacy o sulla tecnologia.
L’articolo conclude evidenziando la necessità di una formazione adeguata per gli insegnanti sull’uso dell’IA in ambito educativo. Andrea Garavaglia, professore all’Università degli Studi di Milano, sottolinea l’importanza di aggiornare le competenze dei docenti per colmare il divario tecnologico e sfruttare appieno le potenzialità offerte dall’IA, evitando che l’adozione di queste tecnologie avvenga in modo disomogeneo tra diverse istituzioni educative.
Apprezzo l’ottimismo e le pie speranze di Andrea Garavaglia, con cui ho avuto il piacere di lavorare in passato e che stimo moltissimo. Sono sicuramente in prima fila nel cercare di colmare i divari e favorire l’equità di accesso alla tecnologia per studenti e docenti, anche se non nego che occasionalmente mi viene un po’ di orticaria quanto capto discorsi di colleghi immersi nella nostalgia del passato e ostili a qualunque cambiamento…
Ma passa tutto quando entro in laboratorio con i ragazzi e faccio tante belle cosucce… Che vi descriverò nel prossimo post!
Federica